Una indimenticabile storia attorno a 3 secoli
Le Origini: Rocchetta Tanaro
Siamo alla fine dell’Ottocento, quando nascono Toni della “Gregia” e Pinnu della “Giaia”, i nonni, con i loro soprannomi che rivelano le radici profonde di paese. E così ha inizio una storia di famiglia, che affonda le sue radici a Rocchetta Tanaro, un piccolo paese adagiato sulle colline astigiane. Come era consuetudine in quel tempo, tutto il lavoro di una vita era dedicato a costruire un’eredità per i figli. E infatti, ai nonni fu lasciato un vigneto ciascuno.
Erano due piccoli vigneti situati sulle colline di Rocchetta Tanaro (Asti): il primo, la “Varghitta”, non molto lontano dal fiume, con uva, pesche e un memorabile salice piangente sotto il quale si faceva merenda. L’altro vigneto, il “Possi”, di circa tremila metri quadrati, era piccolo ma molto ripido, con un casotto e un prezioso dorsale che guardava direttamente il borgo di Cornalea, in una posizione eccellente, molto soleggiata.
Questi due piccoli vigneti accompagnarono la nostra famiglia durante la prima gioventù. Le succose pesche di vigna, le vendemmie e le pigiature a piedi sono i ricordi d’infanzia più cari, tra gli ammonimenti dei nonni e le carezze delle nonne. Io, nato nel 1940, avevo dato una mano, si fa per dire, nelle vendemmie del 1951 e 1952.
I ricordi tornano alla mente: i commenti dei nonni sui due vini che si presentavano al palato con caratteristiche differenti. Il primo, di barbera, grignolino e una splendida uva rosa, che il nonno difendeva dagli assalti dei nipotini, era un vino da 12° gradi, beverino e piacevole a tavola, perfetto per ogni occasione. Il secondo, prodotto dal nonno materno Toni, era un vino a tutta barbera che dava un rosso di grande carattere: ricco, potente, un po’ alcolico, ma con quella classe da “grand cru”, un vino longevo, uno dei migliori del paese.
Il ristorante del buffet della stazione di Alessandria era ogni anno il miglior cliente di questo ottimo vino. Nonno Toni, però, non si limitava a produrre vino; aggiungeva anche il mestiere di “mediatore di vini e altri generi”, un’ulteriore attività che consolidava la sua reputazione nel paese.
Con il tempo, però, la piccola vigna del “Possi” venne venduta alla cantina Braida e prese il nome di Montebruna, un nome che ora richiama altri vigneti contigui, ma che conserva sempre il legame profondo con la storia della nostra famiglia e quella piccola terra di Rocchetta Tanaro, che ha visto nascere e crescere una passione per il vino che continua a perdurare.
Montebruna
PAOLO CONTE dedicò quasi una poesia
Dove va il Tanaro oggi?
Come ieri, ad Alessandria.
Troverà gente col cappello di feltro
che parla con la erre forte.
Sì, ma passa per la Rocchetta?
Si capisce, fermata obbligata.
Perché il Tanaro si guarda intorno
e conosce vigna e vigna
e annusa i profumi e trova i colori
e sente di notte la luna discorrere col vino.
Sono anime eterne.
La famiglia, dopo aver vissuto a Rocchetta Tanaro, si trasferisce ad Alessandria. I figli sono quattro: Margherita, io, Pino, e, sette anni dopo, nel 1947, arriva la splendida sorpresa dei gemelli Luigi e Tonino. Mamma Bettina aveva sempre molto da fare con i suoi bambini, mentre papà Albino lavorava come cameriere, girando per l’Italia.
A 15 anni, Albino inizia la sua carriera a Asti, all’Albergo Salera, e poi si sposta a Napoli, all’Hotel Mergellina, a Recoaro, all’Hotel delle Terme, e al Ristorante Gambrinus di Genova. Fu proprio a Genova, negli anni ’50, che lavorò al Capanno Selvatico, un locale che, oltre a essere un ristorante, fungeva anche da dopoteatro per il Teatro Augustus. Tra i clienti illustri che frequentavano il ristorante c’erano Wanda Osiris, Totò, Walter Chiari e molti altri nomi di spicco del panorama dello spettacolo dell’epoca.
Alla fine, dopo tanti anni di lavoro in giro per l’Italia, papà Albino torna ad Alessandria, dove gestisce l’Hotel Europa, e infine torna al Ristorante della Stazione, che allora era considerato un ristorante di prima classe, come si diceva all’epoca. La sua carriera e le sue esperienze in tanti luoghi diversi arricchirono la nostra famiglia, trasmettendo un forte legame con l’ospitalità e con il mondo della ristorazione che avrebbe segnato molte delle nostre vite.
Inizia l’avventura di Genova
Il Bar Roma di Piazza della Vittoria
Nel 1955, attratti dalla possibilità di prendere in gestione il Bar Roma in Piazza della Vittoria, dove due anni prima avevo iniziato a lavorare come barista all’età di tredici anni e con la terza media, tutta la famiglia Sola si sarebbe ritrovata coinvolta in un’avventura che sarebbe durata trent’anni a Genova. Il bar, un punto di riferimento nella zona, divenne un luogo di ritrovo per molti, tra cui i clienti dell’INPS e della RAI. Iniziammo con la caffetteria, ma ben presto ci orientammo anche verso le gastronomie di mezzogiorno, che si affermarono come un appuntamento quotidiano per molti genovesi.
Con l’aiuto di Luigi e Tonino, nel 1967 decidemmo di lanciare un progetto innovativo: la “Whisky House”. Fu l’inizio di una vera e propria collezione di whisky, con una proposta commerciale mirata, che portò a Genova i primi whisky scozzesi delle isole Islay, tra cui spiccava il Laphroaig, un whisky dal gusto forte, fenolico e torbato, intriso di note di mare. In quel periodo, Tonino, particolarmente attratto dal mondo dei cocktail, lanciò i veri Martini, Manhattan, Negroni, e i primi Irish Coffee, dando al nostro bar un’ulteriore dimensione internazionale e sofisticata.
Fu però negli anni ’60 che il mio interesse per il vino cominciò a crescere, quasi in maniera maniacale, forse anche per DNA. Iniziai a dedicarmi a vendere e servire il vino con la giusta attenzione, scegliendo i bicchieri giusti, sia al banco che in sala. Portammo in città grandi marchi che erano una novità per Genova, tra cui i semi-sconosciuti ma emergenti Champenoises (oggi conosciuti come Champagne), tra cui Ferrari e Berlucchi. Importammo anche Champagne esclusivi come Krug, Bollinger e Roederer, venduti a corpo o serviti in ghiaccio e alla flute. Fu un’innovazione assoluta per la città.
Ricordo con chiarezza le prime 10 casse da 12 bottiglie di uno champagne sconosciuto ma di alta qualità: il “Brugnon”, un recoltant-manipulant che decidemmo di importare direttamente su consiglio di un fornitore francese. Era un’idea commerciale innovativa, proporre un piccolo produttore che dava uno champagne di qualità superiore. Quanto gusto e ricchezza offriva quello champagne di oltre 50 anni fa!
Poi arrivarono i primi vini al bicchiere, tra cui il Gavi La Scolca, il Gavi Bergaglio, il Vermentino dell’Imperiese Colle dei Bardellini, e le cantine emergenti degli anni ’60/’70 come Gaja, Conterno, Antinori, Mastroberardino, e tante altre. Erano gli anni del nascente mondo del vino italiano di qualità e fu proprio questa realtà che mi portò a diventare fiduciario regionale dell’Associazione Italiana Sommeliers (AIS).
AIS, Il BIBE Fiera di Genova e le grandi Amicizie
Organizzai degustazioni con i primi associati, organizzammo viaggi studio nelle aziende vinicole e partecipai alle riunioni nazionali dell’AIS. Furono più di quindici anni durante i quali mi feci conoscere come ambasciatore dei vini liguri e italiani, soprattutto grazie alla Mostra del Bibe di Genova, un evento che, sebbene abbastanza insolito per una città che, all’epoca, non era ancora un punto di riferimento per il mondo del vino, riuscì a far conoscere e apprezzare il nostro territorio vinicolo. L’AIS colse l’opportunità, facendo conoscere la sua realtà anche a livello nazionale.
Ricordo il grande stand alla Fiera del Mare, con i primi vini liguri che non erano più solo contadini, ma di carattere, e con incontri e eventi con le cantine italiane più conosciute e con i grandi nomi della stampa specializzata. Fu anche il periodo in cui incontrai i veri amanti del vino, tra cui Gino Veronelli, il grande scrittore e critico del vino, che divenne soprattutto il difensore dei piccoli produttori italiani, con il suo anarchismo che seppe coniugare passione e competenza.
Il mondo del vino italiano deve molto a Gino Veronelli, che per primo, con passione e impegno, seppe valorizzare e divulgare il nostro vino, facendone un simbolo di qualità e identità. Fu lui a farci capire, con la sua opera, l’importanza di difendere la cultura del vino italiano, e il suo lavoro ha segnato la nascita di una vera e propria rivoluzione nella conoscenza e nel consumo del vino nel nostro paese.
ecco alcuni suoi attestati di amicizia e riconoscenza quando VERONELLI scrive sul settimanale L’Espresso nel lontano 15 Aprile 1990 “…gli voglio bene più che, come sommelier, quale patron di una coltissima enoteca-ristorante a Genova.”
Poi Mario Soldati, in visita al Bibe di Genova, innamorato viscerale dei vini liguri, si soffermò a lungo presso lo stand AIS, a sorseggiare i vari vini liguri presenti. Ricordò queste sue esperienze enoiche, nella sua trilogia “VINO al VINO”, citando un Vermentino di Diano Castello, uno dei miei preferiti e scrisse: “Pino Sola aveva capito quello che cercavo: e tutti i vini che mi offrì, nessuno escluso, erano produzioni squisitamente artigianali di piccoli o piccolissimi proprietari.” Ed ancora “il più interessante dei tuyau che Pino Sola mi regalò al Bibe, il Vermentino che pigia a Diano Castello il geometra Giacomo Ghersi” e poi ancora su questo vino del ponente ligure “Vermentino Ghersi 1971 gradi 14,9. E quello che Sola mi aveva magnificato di più.”
Queste parole riportavano le impressioni di un grande amante del vino italiano, che si trovava a confrontarsi con i vini liguri durante la Mostra del Bibe di Genova. Fu proprio quell’evento a segnare un momento di grande visibilità per i vini della nostra regione, contribuendo a farli conoscere a una platea più ampia di appassionati e professionisti.
In seguito, grazie anche al supporto dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier), emerse la figura di una nuova professione, quella del sommelier, che allora era quasi sconosciuta in Italia, ma che col tempo si è radicata nei ristoranti, hotel ed enoteche di tutto il paese. Quella stessa figura che, oggi, è diventata imprescindibile nella cultura del vino, contribuendo a valorizzare la qualità e la storia dei nostri vini, non solo in Italia, ma anche all’estero.
Il nostro grande stand al Bibe di Genova, tra gli eventi più importanti di quegli anni, ebbe un ruolo fondamentale nel dare un forte impulso alla viticoltura ligure e nazionale, celebrando la sua ascesa e i progressi che avrebbero portato, cinquant’anni dopo, a successi innegabili e importanti per i vini liguri. Da quella piccola grande vetrina, oggi, i nostri vini sono presenti con orgoglio sulle tavole liguri e in tutto il mondo, testimoniando la crescita di una viticoltura che, pur partendo da piccole realtà, ha saputo conquistare il cuore degli appassionati e degli esperti.
Nel frattempo, diventai collega e amico di molti operatori della ristorazione genovese e ligure. Mi legai in particolare a tanti professionisti che avevano la passione e l’amore per la buona cucina e per il vino, ma uno su tutti mi colpì e lo ammirai profondamente: Gianni Ferrando. Gianni, insieme alla moglie Marialina, gestiva la trattoria più incredibile che abbia mai visto: “Toe Drue” (tradotto in italiano come Tavole Spesse), situata a Sestri Ponente. Gianni era un ex ferroviere, con un palato da vero sommelier, e in seguito divenne anche fiduciario regionale dell’AIS. La sua passione per le materie prime gastronomiche e la sua dedizione alla qualità erano senza pari.
Gianni e Marialina condussero questa trattoria per circa dieci anni, con una cucina che sembrava un’arte pura. Poi, dopo aver chiuso l’attività, si trasferirono a Castiglione Falletto, nel cuore della terra del Barolo, dove poterono godersi il meritato riposo, immersi in uno dei territori vinicoli più celebri d’Italia. Ma torniamo alle “Toe Drue”, che erano davvero qualcosa di speciale.
Il locale, con soli trenta posti, riusciva a garantire una prenotazione per cenare con una lista d’attesa di mesi, tanto era la fama che aveva conquistato. Si mangiava solo di sera, ma ogni piatto era un’esperienza unica. Il pesce del giorno arrivava fresco grazie a Mario, un fedele amico pescatore, mentre le carni scelte arrivavano direttamente dal Piemonte. Tra le specialità, non mancavano orate e branzini nostrani, ma un ricordo indelebile era quello delle uova di orata lessate, un piatto semplice ma sublime, con un filo di olio di Meo che dava al piatto un tocco inconfondibile. Non mancavano mai le lumache delle colline di Pegli, rare e prelibate.
In cucina, Gianni e Marialina usavano esclusivamente un olio extravergine d’oliva autentico prodotto a Riva di Villa Faraldi da Bartolomeo Martini, un olio di qualità superiore che esaltava ogni piatto. E poi, per chiudere il pasto, c’era la Farinata, che arrivava fumante al tavolo e che sembrava davvero un dono dal paradiso.
Fu proprio in questa trattoria che portai, durante uno dei miei incontri e relazioni con l’AIS, il grande Gino Veronelli. Gino, che era un profondo conoscitore dei vini e della gastronomia, non poté fare a meno di esprimere il suo apprezzamento. Subito dopo il suo passaggio, scrisse nella sua rubrica sull’Espresso, magnificando un gustoso Dentice che avevamo assaporato, e soprattutto la magica Farinata nobilitata dai bianchetti di giornata che, come ogni piatto delle Toe Drue, rappresentava l’autenticità e la bontà dei prodotti liguri.
Gianni Ferrando e la sua “Toe Drue” rimasero per sempre nel cuore di chi ha avuto il privilegio di vivere quella straordinaria esperienza culinaria. Un ristorante che, nonostante la sua dimensione contenuta, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della ristorazione genovese e ligure, e che ancora oggi viene ricordato con grande affetto.
In occasione dell’inaugurazione della Vinoteca Sola, che ebbe luogo alla presenza di Rémy Krug, il famoso enologo della storica casa di Champagne, ebbi l’ardire di invitarlo a cena nelle Toe Drue, una trattoria modesta (come si dice in Francia, una “gargotte”) che rappresentava l’essenza più autentica della cucina ligure. Fu una serata memorabile, durante la quale Krug poté assaporare alcune delle prelibatezze che Gianni Ferrando e sua moglie Marialina preparavano con tanto amore e passione. Quel gesto, sebbene apparentemente semplice, rappresentava un legame profondo con la tradizione gastronomica ligure e il nostro impegno nell’offrire esperienze autentiche, lontane dai riflettori ma ricche di qualità.
Tra i tanti personaggi che ho avuto il piacere di incontrare e che mi hanno arricchito professionalmente, ricordo anche Jean Siegrist, un enotecnico renano che fu relatore in uno dei miei corsi di degustazione a Beaune, in Borgogna. Il corso, frequentato da sommelier, enotecnici e giornalisti del settore, si concluse una sera proprio alle Toe Drue, dove, durante un’indimenticabile cena didattica, approfondimmo temi nuovi sulla degustazione del vino, condividendo opinioni e conoscenze con appassionati del settore.
Un altro capitolo che mi resta impresso nella memoria sono le numerose visite in Langa che ho fatto insieme a Gianni Ferrando, alla ricerca dei grandi Barolo. In quelle terre, tra i filari delle vigne più prestigiose, ho avuto la fortuna di stringere indimenticabili amicizie con produttori leggendari come Sobrero Violante e Giaculin Anselma, entrambi maestri nella vinificazione dai vigneti di Monprivato di Castiglione Falletto e Vigna Rionda di Serralunga d’Alba. Ma non posso dimenticare neppure il Barolo di Giacinto Brovia delle Rocche di Castiglione Falletto, un vino che è riuscito a racchiudere nelle sue bottiglie la quintessenza della Langa e la passione di un grande produttore.
Le esperienze vissute con Gianni, tra la Langa e le Toe Drue, sono state per me non solo momenti di crescita personale, ma anche occasioni per consolidare amicizie e collaborazioni che hanno segnato un passo fondamentale nella mia carriera di sommelier e nell’impegno per la promozione dei vini italiani. Questi ricordi restano indelebili nel cuore, come testimonianza di un’epoca in cui la passione per il buon vino e per la gastronomia autentica venivano vissute come un’arte da tramandare.
Un’altra grande amicizia che ha segnato la mia vita è stata quella con Franco Colombani, il patron dell’Albergo del Sole di Maleo, un piccolo villaggio immerso nelle nebbie della pianura padana, quasi sconosciuto, ma carico di fascino. L’Albergo del Sole era più di un semplice ristorante; era un rifugio campagnolo, un angolo accogliente dove la cucina italiana autentica regnava sovrana. Il locale si distingueva per un lungo tavolone al centro, con un angolo di cottura visibile, e un sommelier simpatico e sempre pronto a suggerire il miglior abbinamento. Ma al centro di questo palcoscenico c’era Franco, un uomo di una generosità straordinaria, una persona che ho amato e stimato profondamente.
Franco era un grande storico della cucina italiana, un appassionato e un custode delle ricette antiche, quelle che facevano parte del patrimonio gastronomico del nostro paese. La sua conoscenza delle tradizioni culinarie era una vera e propria sorgente di saggezza per molti ristoratori che, alla ricerca di perfezione e di stelle, si recavano all’Albergo del Sole per imparare e approfondire i segreti della cucina. Le serate passate a Maleo erano sempre indimenticabili, ma una su tutte rimarrà per sempre nella mia memoria: il 29 gennaio, giorno del compleanno di Franco, quando il ristorante apriva le sue porte solo agli amici. Arrivare a Maleo, sotto la nebbia fitta e con il freddo che mordeva, era sempre una piccola avventura, ma ne valeva sempre la pena.
La cucina di Franco in quelle occasioni era favolosa, con piatti leggendari come la casseula fumante, che rappresentava il cuore della tradizione gastronomica lombarda. Il tutto accompagnato da un Barbera dell’Oltrepò prodotto da Brega, che con il suo corpo e la sua profondità esaltava il piatto e il momento. E poi, al termine della serata, il difficile ritorno a Genova, sempre in piena notte, tra la nebbia e il gelo, a rimarcare quanto speciali fossero quei momenti.
Ma la cucina di Franco non era solo comfort food: era anche un luogo di grandi degustazioni, dove ho avuto il privilegio di assaporare alcuni dei vini più straordinari della mia vita. Uno dei ricordi più vividi è il “Château Lafite”, un imperiale da quasi 5 litri che Franco ci fece assaporare in una serata memorabile. Quel vino, così elegante e profondo, rimane uno degli apici della mia carriera di degustatore, un’esperienza che non dimenticherò mai.
Purtroppo, come spesso accade, un giorno tutto finì. Franco, uno dei miei più cari amici, ci lasciò, e con lui se ne andò un pezzo importante della mia vita. La sua memoria indelebile resta nel mio cuore, come quella di Gianni Ferrando, e il suo Albergo del Sole è rimasto per me un simbolo di amicizia sincera e di autenticità gastronomica.
Le nostre serate a Maleo sono state per me una lezione di vita e di passione per la cucina e il vino, un’amicizia che ha avuto il privilegio di intrecciarsi con il racconto di un’Italia che sa ancora offrire ospitalità, cultura e tradizione.
Franco Colombani
Negli anni ’80, un periodo particolarmente intenso per la mia carriera, sono stato molto coinvolto insieme a Franco Colombani, che all’epoca era presidente dell’AIS, nella nascita della Sommellerie Internationale (ASI), l’associazione che raccoglie i sommelier di tutto il mondo. In qualità di tesoriere dell’ASI, pur essendo genovese e non ligure, ho avuto l’onore di rappresentare l’Italia in vari eventi internazionali, organizzando incontri e manifestazioni a margine di fiere e mostre sui vini globali.
Le città che ho visitato in quegli anni — Lisbona, Londra, Parigi, Bruxelles, Vienna e molte altre — sono diventate luoghi di grande crescita professionale e personale. Quegli incontri mi hanno permesso di scoprire l’evoluzione della professione di sommelier, soprattutto mettendo in evidenza quanto fosse consolidata la figura del sommelier nella ristorazione francese, un modello di eccellenza che in Italia stava appena cominciando a emergere. In Francia, il sommelier era una figura già rispettata e ben integrata nel servizio di ristorazione di alto livello, mentre in Italia la professione stava ancora lottando per ottenere il riconoscimento che meritava.
Questi eventi internazionali hanno ampliato le mie conoscenze e mi hanno offerto una visione globale della cultura del vino, ma allo stesso tempo mi hanno fatto capire quanto fosse importante il nostro lavoro per l’affermazione del sommelier italiano sulla scena mondiale. Fu un’esperienza professionale stimolante e gratificante, che mi ha permesso di costruire relazioni con sommelier di altri paesi e di far conoscere il nostro approccio al vino, così ricco di storia e tradizione.
Durante tutto questo periodo, quando i miei impegni associativi mi portavano lontano dal lavoro, è stato il mio supporto familiare a permettermi di proseguire. I miei fratelli e la sorella Rita hanno sempre fatto fronte alle esigenze quotidiane della nostra attività, gestendo la parte operativa con dedizione e passione. A loro devo una riconoscenza infinita per il loro supporto, che mi ha consentito di concentrarmi sugli aspetti professionali e di crescita dell’associazione, senza mai trascurare la nostra realtà di famiglia.
Questa esperienza, a livello internazionale, ha arricchito il mio percorso e mi ha permesso di portare avanti una visione più ampia della cultura del vino in Italia, aiutando a costruire quel ponte tra tradizione e innovazione che oggi possiamo finalmente vedere riconosciuto nel nostro paese.
Poi, come vedremo, sempre nel 1983 il passaggio professionale della famiglia all’Enoteca Ristorante Sola, dove finalmente potevo esercitare compiutamente la professione di sommelier, che da oltre 13 anni propagandavo in tutta la regione ligure, facendo proseliti ed insegnando ad amare il buon vino di qualità.
Tonino, Luigi e il Venenciador che spilla lo sherry, in una serata Xerez al Bar Roma
La Vinoteca Sola di Piazza Colombo
Nel 1979, a distanza di qualche anno, la famiglia Sola decise di compiere un passo importante: l’acquisto di un negozio di vini, e fu mio fratello Tonino, uno dei due gemelli, a gestirlo. Così nacque la VINOTECA SOLA, situata nella centralissima Piazza Colombo a Genova. Questo negozio, che all’inizio era una semplice bottiglieria, divenne nel giro di pochi anni un’importante vetrina delle migliori qualità italiane e internazionali.
Tonino, con il suo innato spirito imprenditoriale, affiancato dalla moglie Marica, si distinse fin da subito per la sua capacità manageriale e commerciale. Da ottimo compratore, ma anche altrettanto bravo nel vendere, riuscì in pochi anni a trasformare una bottiglieria anonima in un punto di riferimento per gli appassionati di vino. Il suo talento nel cercare e proporre vini di alta qualità e la sua attenzione alla ricerca continua di grande qualità furono la chiave del successo della Vinoteca.
La posizione strategica del negozio, vicina al famoso Mercato Orientale, cuore pulsante dell’alimentazione genovese, diede alla Vinoteca Sola una visibilità incredibile. Con il passare del tempo, Tonino e Marica si adoperarono per una ristrutturazione elegante degli spazi, migliorando l’estetica del negozio per renderlo più accogliente e moderno. La Vinoteca divenne un luogo di ritrovo per enofili, con degustazioni di vini italiani e stranieri, eventi di grande richiamo, e un’oculata attenzione alle produzioni emergenti. Negli anni ’80, quando i produttori di spumanti italiani erano obbligati dalla legislazione francese a usare la denominazione “spumanti a metodo classico” per le loro bollicine, Tonino si distinse per la sua lungimiranza commerciale nel dare visibilità agli spumanti italiani, in particolare agli champenoise nostrani.
Fu proprio durante questo periodo che la Vinoteca Sola raggiunse il culmine della sua affermazione, anche grazie ai rapporti con alcuni dei più prestigiosi importatori italiani, tra cui Spirit, Wax & Vitale, Velier, Moon Import e altri. Uno degli apici di questa stagione di successi fu l’incontro con Rémy Krug, patron della maison Krug, che venne a festeggiare il rinnovamento del negozio con una visita speciale. Questo evento fu simbolico del grande prestigio che la Vinoteca Sola stava conquistando nel panorama enologico genovese e nazionale.
Tonino fu anche parte attiva dell’associazione Vinarius, che riuniva le migliori enoteche d’Italia, e la sua partecipazione a eventi e fiere contribuì a consolidare il suo ruolo di protagonista nel settore.
Con l’avvicinarsi del nuovo millennio, e dopo aver raggiunto traguardi importantissimi, Tonino decise di passare il testimone. La gestione della Vinoteca Sola fu affidata ai nipoti. In particolare, Riccardo Morandi si occupò degli acquisti, mia figlia Valentina della contabilità, e Valerio Sola, mio figlio, prese in mano la parte commerciale, con un focus particolare sulla digitalizzazione e sull’e-commerce, portando così la Vinoteca Sola nel nuovo millennio. Questo passaggio generazionale rappresentò un momento importante, un ponte tra tradizione e innovazione, con l’obiettivo di mantenere viva la passione per il vino e la qualità che ha sempre contraddistinto il nostro lavoro.
Contestualmente alla transizione generazionale e all’ingresso della nuova gestione da parte della famiglia, si è avviata anche la terza ristrutturazione della Vinoteca Sola. L’idea era quella di ampliare e razionalizzare gli spazi per rispondere alle esigenze di un mercato sempre più esigente e attento alla qualità, ma anche alla esperienza che il negozio poteva offrire ai suoi clienti.
La ristrutturazione ha comportato un aumento degli spazi commerciali e una riorganizzazione della disposizione interna. Si è puntato a rendere la vinoteca un luogo ancora più accogliente e funzionale, dove i clienti potessero non solo acquistare i migliori vini italiani e internazionali, ma anche immergersi in un’esperienza sensoriale unica.
L’area dedicata alla degustazione è stata ampliata, creando uno spazio esclusivo dove si organizzano periodicamente degustazioni guidate. Questi eventi, che vedono spesso la presenza dei produttori, sono diventati un vero e proprio punto di riferimento per tutti gli appassionati di vino. La possibilità di incontrare i produttori, ascoltare le loro storie, scoprire i segreti dietro le etichette e approfondire le caratteristiche dei singoli vini ha reso la Vinoteca Sola non solo un luogo dove comprare, ma anche un vero e proprio punto di riferimento.
Inoltre, la razionalizzazione degli spazi ha permesso di creare delle zone tematiche per i diversi tipi di vini, da quelli più prestigiosi e ricercati a quelli delle piccole realtà artigianali, ma anche di migliorare il layout commerciale, rendendo più facile per il cliente orientarsi e trovare ciò che cercava. La qualità del servizio e l’attenzione al cliente sono sempre stati al centro dell’attività della famiglia, e con l’ampliamento degli spazi, è stato possibile offrire un servizio ancora più personalizzato e diretto.
Questa terza ristrutturazione ha segnato un momento fondamentale nella storia della Vinoteca Sola, dando al negozio una nuova dimensione, ma mantenendo al contempo salda la tradizione di passione e qualità che è sempre stata la forza di questa realtà. Il negozio è ora pronto ad affrontare le sfide del futuro, con l’ambizione di restare un punto di riferimento nel panorama delle enoteche di alta qualità non solo a Genova, ma anche a livello nazionale, consolidando il legame con il territorio, i produttori e i clienti.
L’Enoteca Ristorante Sola “Cucina & Vino”
Nel 1983, con il trasferimento della famiglia di circa 300 metri dalla storica sede del Bar Roma, si segnò l’inizio di una nuova era: nasceva l’Enoteca Ristorante Sola, situata in via Carlo Barabino nel rione genovese della Foce. Questo spostamento fu simbolico di un’evoluzione nella gestione e nell’offerta, rendendo l’impegno familiare ancora più intenso e strutturato.
Il nuovo locale, elegante e raffinato, venne subito riconosciuto come un esempio di stile “anglo-ligure”, con i suoi tavoli a carabottino e le boiserie che richiamavano un’atmosfera ricercata, ma allo stesso tempo accogliente e tipicamente ligure. Il locale apriva dalle 7 del mattino fino a mezzanotte, e divenne presto un punto di riferimento per chi cercava alta cucina e una selezione di vini eccellenti. La gestione del ristorante divenne un impegno sempre più gravoso, ma al tempo stesso rappresentava una delle risorse economiche principali, con un’offerta che sapeva coniugare cucina e vino di alta qualità.
L’Enoteca Sola non si limitava però alla parte ristorativa. Il settore dolciario giocò un ruolo altrettanto importante nel successo del locale. Qui, il fratello Luigi, esperto nell’ambito delle delikatessen, si distinse per la proposta di prodotti dolciari che erano davvero pionieristici per quegli anni. In particolare, l’Enoteca Sola fu tra i primi punti vendita a Genova a proporre il marchio più emblematico della tradizione dolciaria locale: la Confetteria Romanengo. Questo storico marchio genovese, famoso per le sue gocce, i fondant, le marmellate, e gli sciroppi di petali di rosa, fu accolto con grande entusiasmo, e divenne una delle specialità del negozio. Il legame con la Confetteria Romanengo consolidò l’immagine di Enoteca Sola come una realtà che, oltre ai grandi vini, sapeva offrire una selezione di prodotti gourmet di alta classe.
Luigi, con la sua grande visione, non si fermò qui. Avviò anche una collaborazione con Domori, una piccola ma rivoluzionaria azienda di cioccolato nata a Genova che, con le sue tavolette fondenti al 70%, 80%, e 100%, cambiò per sempre il mercato del cioccolato di alta qualità in Italia. La proposta di cioccolato fondente di Domori si differenziava per la sua finezza e la ricerca delle materie prime di altissima qualità. Questo fu uno dei primi passi per portare alla ribalta una delle eccellenze italiane nel mondo del cioccolato, che ancora oggi è simbolo di artigianalità e qualità.
Un altro capitolo dolce e memorabile fu l’arrivo del cioccolato Corallo, prodotto a São Tomé nell’isola africana, che veniva importato da Luca Gargano della Velier. Luigi, sempre alla ricerca delle migliori materie prime, fu uno dei primi a proporre Corallo nelle sue vetrine. Questo cioccolato, noto per la sua qualità assoluta e la lavorazione artigianale, diventò presto un altro must dell’Enoteca Sola, e contribuì a consolidare la sua reputazione come luogo di eccellenza anche nel campo dolciario.
Inoltre, ogni anno, Luigi riusciva ad assicurarsi una fornitura esclusiva del famoso Torrone Canelin, un autentico capolavoro artigianale prodotto da un piccolo maestro pasticcere di Visone (Ovada). Il Torrone Canelin era una vera chicca, un torrone di altissima qualità, che divenne un altro prodotto simbolo della Enoteca Sola, contribuendo al successo continuo del locale.
Le quattro eleganti vetrine dell’Enoteca divennero una vera e propria vetrina di prodotti di lusso, dove i clienti potevano trovare non solo i migliori vini italiani e internazionali, ma anche una selezione di dolci di altissima qualità e prodotti gastronomici di nicchia. L’Enoteca Sola non era solo un negozio, ma un punto di riferimento per chi cercava il meglio della gastronomia genovese e internazionale, grazie alla passione e alla dedizione della famiglia Sola, in particolare di Luigi, che con la sua attenzione per la qualità e l’eleganza, ha saputo rendere questo spazio un luogo unico.
La cucina dell’Enoteca Ristorante Sola è sempre stata un elemento centrale nell’offerta del locale, e a garantire l’alto livello della proposta gastronomica c’era una presenza femminile fondamentale: mia sorella Rita, insieme alla cuoca Mirella Balbi, che ha saputo portare avanti con dedizione e passione la tradizione culinaria ligure. A loro va tutta la nostra riconoscenza, poiché sono riuscite a mantenere alta la qualità e l’autenticità dei piatti, soddisfacendo ogni giorno la clientela più esigente di Genova. La loro costante attenzione alla spesa quotidiana e alla selezione dei migliori ingredienti ha rappresentato il cuore pulsante di ogni piatto preparato.
Il loro approccio alla cucina era sempre fedele alla tradizione ligure, senza alcuna inutile rivisitazione, ma puntando tutto sulla qualità assoluta delle materie prime. Ogni giorno, Rita e Mirella si occupavano di acquistare i prodotti freschi dai fornitori consolidati: il pesce freschissimo dal mercato, le carni piemontesi selezionate con cura, la frutta e verdura proveniente dal fidato “besagnin” (mercato ortofrutticolo), e il pane e la focaccia preparati dal miglior panettiere del rione. Tutto doveva essere fresco e genuino, senza compromessi.
Il risultato di questo impegno quotidiano si traduceva in una cucina tipica ligure, che non deludeva mai. Tra i piatti più amati e che rappresentavano al meglio la cucina genovese e ligure, c’erano senza dubbio le trenette al pesto, preparate con il basilico Merello di Prà, un basilico di qualità superiore che dava al piatto un sapore inconfondibile. Non mancava mai lo stoccafisso accomodato, un grande classico della tradizione, ma anche piatti più rustici e saporiti come le tomaxelle al pomodoro, il coniglio alla ligure, il ciupin di pesce fresco, il ragù di capra e fagioli di Pigna, e i muscoli ripieni alla spezzina. Ogni piatto era un tributo alla bontà e alla semplicità della cucina ligure, fatta di ingredienti poveri ma di qualità, trattati con cura e rispetto.
Un’altra specialità che non poteva mancare, preparata con la stessa attenzione ai dettagli, era la focaccia ligure, accompagnata dal pane fresco, fragrante, e perfetto per ogni piatto.
Il ristorante rappresentava quindi una vera osteria ligure, dove ogni piatto era preparato con ingredienti freschi e locali, e la clientela poteva godere della vera cucina genovese, quella che sa far sentire a casa chiunque. Grazie all’impegno di Rita e Mirella, Enoteca Sola è riuscita a rimanere fedele alle sue radici, offrendo una cucina che non solo rispecchiava le tradizioni, ma che le celebrava ogni giorno, portando a tavola i sapori autentici della Liguria.
Un particolare ringraziamento va dedicato all’uso in cucina dell’Olio Extra Vergine d’Oliva dell’amico Bartolomeo Martini, proveniente da Riva di Villa Faraldi (IM). Questo olio, dalle caratteristiche straordinarie, è divenuto un ingrediente irrinunciabile nelle nostre preparazioni, un po’ come una firma distintiva della cucina dell’Enoteca Ristorante Sola. Il suo aroma e la sua qualità assoluta sono diventati parte integrante dei piatti, arricchendo ogni ricetta con il suo gusto unico e la sua fragranza intensa.
La ricerca della massima qualità in cucina, che è sempre stata la nostra filosofia, si è estesa non solo alla selezione dei vini, ma anche agli alimenti e alle delikatessen. Abbiamo sempre cercato il meglio e l’autentico, portando sulle nostre tavole prodotti eccezionali provenienti dalle eccellenze gastronomiche italiane e internazionali. Tra le presenze più prestigiose che non potevano mai mancare figurano: La Gorgonzola Croce di Casalpusterlengo, un formaggio cremoso e saporito, che ha conquistato i palati più raffinati, I prosciutti di Sauris e di Parma, simbolo della tradizione salumiera italiana, dal gusto inconfondibile, Il Parmigiano Reggiano 30 mesi della famiglia Cacciali di Parma, che con la sua stagionatura lunga esprime tutta la ricchezza e la complessità del nostro formaggio più amato, Le acciughe Cantabriche, rare e prelibate, con il loro sapore delicato e raffinato, protagoniste di numerosi piatti della cucina ligure.
In cucina, la cura dei dettagli era il nostro mantra, e ogni ingrediente veniva scelto con un’attenzione maniacale alla qualità e alla provenienza, proprio come accadeva per i vini e i distillati che proponevamo in abbinamento. Era un viaggio continuo alla scoperta dei migliori produttori, di quelle eccellenze rare che arricchivano la nostra offerta e portavano sulla tavola dei nostri ospiti il meglio che la tradizione gastronomica potesse offrire.
Un altro grande ringraziamento va alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto con amore e pazienza. Nonostante le numerose sfide di una realtà imprenditoriale complessa e sempre più articolata, la mia famiglia mi ha sempre dato la massima libertà nel perseguire i miei impegni associativi, le mie collaborazioni con l’export negli Stati Uniti e le missioni internazionali. Senza il loro sostegno e la loro fiducia, sarebbe stato impossibile portare avanti tutti questi progetti con il successo che, fortunatamente, sono riuscito a ottenere. La loro dedizione e il loro spirito di collaborazione sono stati, ed ancora sono, il pilastro su cui poggia tutto il nostro cammino.
Alcune citazioni della stampa enogastronomica più influente:
Gennaio 1987, sul mensile VIAGGI & SAPORI descrivendo l’alta qualità dei CARCIOFI D’ALBENGA e la complessità di abbinarli ad un vino così scrive: con i carciofi ci vuole morbidezza ribadisce Pino Sola sommelier che con i fratelli gestisce a Genova L’ENOTECA RISTORANTE SOLA. Avendo un gusto molto marcato che attanaglia il palato, i carciofi sono difficilmente abbinabili, soprattutto se li si vuole crudi. Il vino dovrà essere un bianco morbido ed avvolgente capace di levigare le asperità.
Aprile 1987 – L’astro nascente CARLIN PETRINI di SLOW FOOD in una sua rubrica enogastronomica, così scriveva dopo aver cenato e consultato la nostra carta dei vini: due fratelli e una sorella che tengono alto il buon nome del vino, appassionati ricercatori dei buoni produttori, difensori di vini rossi nobili di LANGA. Tutto ciò basta e avanza, perché da questa rigogliosa rubrica e con la licenza che irresponsabilmente il direttore mi concede, io CARLIN PETRINI, propongo a tutti i produttori di LANGA e MONFERRATO, di concedere le dovute credenziali alla premiata ditta Sola.
Febbraio 2003 – in un servizio fotografico di 3 pagine BARBARA SGARZI di EUPOSIA, intervistando LUIGI SOLA: in un ambiente sobrio e accurato nel cuore di Genova l’ENOTECA SOLA di Genova è anche “WINE BAR” e RISTORANTE. Descrive la cucina regionale e tradizionale ed oggi “gourmandise” per palati fini. Si trova spesso pesce fresco secondo il mercato, con una particolare menzione per il “CIUPPIN” zuppa di pesce di antichissima tradizione. A fianco al pesce è facile trovare “la BAGNA CAUDA” o “il BRASATO AL BAROLO”. Da qualche anno all’ENOTECA SOLA è nato un “WINE CLUB” formato dalla clientela più affezionata.
2013 – Una indimenticabile degustazione verticale alla presenza del personaggio più importante al mondo per il rispetto della natura in vigna e in cantina. Padre della biodinamica del ventesimo secolo, NICOLAS JOLY è produttore nella regione della Loira. Un passaggio del mio commento alla serata: il lungo racconto dei tre preziosissimi vini bianchi degli anni 2009-1999-1995. Le meravigliose verità sull’importanza del rapporto cielo-terra e sulla originalità e riconoscibilità del gusto di un vino spiegate nella “lectio magistralis” del vignaiolo, hanno perfettamente sposato le complessità dei tre vini in ottima condizione nonostante la loro età avanzata. Anzi proprio il 1995 (18 anni) ha riscosso unanime emozioni!
Intorno alla sessantina si fa più intenso e complesso il mio amore-interesse e passione per i vini che sintetizzo come “NATURAL”. Cercherò di descrivere un tema molto discusso, che fa parte di un futuro strettamente legato ad una vita più salutare per tutti e nel caso specifico, pure della vigna e del rispetto del suo suolo.
Come si desume, dalle etichette e dalle citazioni e degustazioni soprastanti, in questi ultimi anni è continuata la ricerca costante della qualità nella nostra azione commerciale, che rivoluziona il concetto di qualità “tout court”. Da oltre vent’anni, sui nostri scaffali, oltre alla preponderante schiera dei vini convenzionali, sono presenti nuove etichette di piccoli produttori “NATURAL” che consigliamo come vini “buoni, puliti e giusti” dal libro di Carlin Petrini.
Il mercato di questi benedetti vini NATURALI rappresenta dal 5 al 10% nell’immenso, fiume in piena, della superproduzione italiana di vini così detti CONVENZIONALI.
Piccola e utile dissertazione sul vino naturale. La Borgogna spicca nel panorama vinicolo per la sua straordinaria concentrazione di produttori votati al biologico e al biodinamico distinguendosi da oltre cinquant’anni per una rivoluzionaria presa di posizione nei confronti dei confratelli bordolesi tanto nei metodi di gestione del vigneto quanto nelle pratiche di cantina mentre i vignaioli borgognoni hanno saputo resistere alla globalizzazione del gusto degli anni ottanta e novanta rifiutando la tendenza verso vini dal colore carico profumi artificiali e struttura legnosa e muscolare tipica del gusto californiano preservando invece la propria identità attraverso l’utilizzo esclusivo dei vitigni Pinot Noir e Chardonnay e la valorizzazione del terroir quale elemento determinante per la qualità del vino tanto che la celebre produttrice Marcelle Bize-Leroy già ai vertici del mercato non esitava a definire i grandi château di Bordeaux come “mélangeurs parkérisés” criticandone sia l’uso di uvaggi sia l’adesione alle indicazioni della critica enologica in particolare della Wine Advocate di Robert Parker e proprio i grandi produttori di Borgogna Alsazia Loira e altre regioni francesi hanno tracciato la via maestra verso la filosofia del produrre e consumare meno ma meglio introducendo innovazioni significative come il ritorno all’uso del cavallo nei vigneti in sostituzione dei trattori dannosi per l’humus del terreno e l’adozione di pratiche biologiche attraverso approcci diversificati dalla “lutte raisonnée” all’agricoltura biologica fino alla biodinamica quale metodo più rigoroso nel rispetto del terroir che esclude completamente l’uso di fitofarmaci e lieviti selezionati in cantina mentre nel nostro paese i vini naturali si collocano in una fascia di prezzo tra i dieci e i venti euro o superiore differenziandosi nettamente dai vini sotto i cinque euro comunemente disponibili nei supermercati una differenza di prezzo che non solo garantisce una scelta più consapevole ma richiede anche un profondo cambiamento nelle abitudini di consumo e una nuova educazione all’approccio al vino.
Un buon vino naturale invita a essere bevuto lentamente. È importante comprendere che può migliorare anche in una bottiglia già aperta dopo tre giorni, mantenendo le sue qualità per altri tre giorni ancora. La mia passione per il vino, nata negli anni ’60, si è evoluta trent’anni dopo, spostandosi polemicamente a favore di questo gruppo di produttori visionari di vini naturali, “buoni, puliti e giusti”. Questa nicchia di mercato, che tra l’altro offre una remunerazione inaspettata ai piccoli produttori, merita tutto lo spazio commerciale possibile nei nostri punti vendita. È importante approfondire con la clientela quel rapporto di fiducia che si costruisce quotidianamente, condividendo le numerose motivazioni di quello che potremmo definire un “new deal” del vino. Le degustazioni future di questi vini naturali, che incrementeremo, saranno estremamente importanti per la nostra clientela. Si potrà così unire il concetto di qualità del vino al rispetto della natura (terra e vigna) e della salute, seguendo il principio del “bere meno, ma meglio”.
La Tenuta Agricola COLLE DEI BARDELLINI di Imperia
Nella primavera del 1983 un gruppo di armatori mi affidò l’incarico di riorganizzare la Tenuta Agricola Colle dei Bardellini di Imperia, precedentemente appartenuta a Romano Ramoino, tecnico oleario di rilevanza europea e produttore di un pregiato Vermentino che vendevamo da anni nel Bar Roma. Affascinati dalla straordinaria bellezza della tenuta, concentrammo tutte le energie aziendali nella razionalizzazione dei preziosi vigneti aggrappati alla collina imperiese del Monte Rosa, in località Fontanarosa, dove costruimmo una moderna cantina dedicata alla vinificazione delle uve Vermentino, Pigato e Rossese, su una superficie di circa quattro ettari.
Il Vermentino “U’ Munte”, coltivato su quasi un ettaro alla sommità del Monte Rosa che domina Imperia, e il Pigato “La Torretta”, provenienti dalle due migliori esposizioni, divennero presto veri cru da vini riserva. Le loro etichette acquisirono notorietà non solo in Liguria ma anche a livello internazionale: negli Stati Uniti, nel vicino Principato di Monaco e presso selezionati hotel svizzeri. Grazie a una rete vendita composta da autentici professionisti e a intense attività di pubbliche relazioni, partendo dalla migliore ristorazione imperiese per poi espanderci a Genova, e attraverso i miei contatti professionali, riuscimmo in pochi anni a conquistare un’ottima posizione commerciale.
La qualità dei vini fu garantita dall’indimenticabile enotecnico Pietro Trevia, seguito poi dal noto professionista Giuliano Noè. Gli eccellenti rapporti con la stampa specializzata crearono una positiva cassa di risonanza. L’eco delle numerose notizie sulla rinnovata Tenuta Agricola Colle dei Bardellini e l’eccellenza dei suoi vini furono determinanti per l’affermazione del marchio Bardellini in Liguria e nei migliori ristoranti italiani. Un successo inaspettato arrivò dal mercato americano, che mi vide personalmente coinvolto, portando a una peculiare quanto complessa affermazione, nonostante i numeri contenuti di una produzione di circa quarantamila bottiglie.
Il successo di Colle dei Bardellini attraverso le citazioni: 1985-2001
La storia del successo di Colle dei Bardellini può essere tracciata attraverso le prestigiose recensioni e i riconoscimenti ottenuti nell’arco di quasi vent’anni, testimoniando un percorso di eccellenza sia in Italia che all’estero.
1985 – Antonio Piccinardi su Panorama descrive con precisione le caratteristiche organolettiche del Vermentino, evidenziandone “la buona intensità, la delicatezza e finezza, con fragranze di profumi silvani ed erbe aromatiche, un leggero sentore di salvia sclarea e pesca acerba”, sottolineando inoltre “l’armonia, il buon corpo, l’eleganza e la morbidezza” del vino.
1988 – Luigi Veronelli, nel suo libro “Le Cantine”, dedica particolare attenzione al Pigato, descrivendone poeticamente l’essenza: “il respiro del mare, l’aria iodata, compiono il miracolo di trasformare un semplice vino bianco in qualcosa di speciale”. Nota anche il simbolico legame con la tradizione attraverso il Leudo, l’antica imbarcazione ligure raffigurata sull’etichetta.
1995 – Bruno Bini sul Secolo XIX evidenzia il ruolo fondamentale del terroir, descrivendo come “l’aperta esposizione delle viti al sole, alle brezze marine e all’aria dei boschi” contribuisca alle caratteristiche distintive del vino.
1999 – Un importante riconoscimento arriva da Vinealia, dove in una degustazione cieca-comparata di 33 Vermentino da tre regioni, il Vermentino U’ Munte 1998 si classifica primo. Il Dott. Giacomo Mela della Facoltà d’Agraria di Milano ne esalta le “nitide persistenze aromatiche” e il ruolo nella valorizzazione della cucina mediterranea.
2000 – Il settimanale “Oggi” include il Vermentino Vigna U’Munte 2000 tra i migliori centi vini d’Italia, posizionandolo al 19° posto in una selezione presentata da Ornella Muti.
2000 – Nello stesso anno, Sally Semeria racconta la sorprendente scoperta del Pigato “La Torretta” in un ristorante di Manhattan, testimoniando la capacità dell’azienda di competere nel mercato internazionale.
2001 – David Linch su Wine & Spirit assegna l’eccezionale punteggio di 93/100 al Vermentino Vigna U’Munte 1998, descrivendolo come “uno straordinario vino bianco dal dorato profondo” con caratteristiche organolettiche complesse e raffinate.
2014 – Bruce Sanderson su Wine Spectator, la più autorevole pubblicazione statunitense del settore, assegna al Pigato un notevole 87/100, confermando il consolidato prestigio internazionale dell’azienda.
Queste citazioni testimoniano non solo l’eccellenza dei vini di Colle dei Bardellini, ma anche il costante impegno dello staff aziendale nella ricerca dell’alta qualità, che ha portato al successo del marchio a livello regionale, nazionale e internazionale.
VIAS Import – Stati Uniti
VIAS Import: Una Storia di Pionieri del Vino Italiano in America (1983)
Nel giugno del 1983, un periodo di grandi trasformazioni nella famiglia Sola, insieme a un gruppo di amici dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier), venne fondata a New York una società di esportazione di vini, la VIAS IMPORT. L’idea di questa impresa nacque qualche anno prima in Sicilia, durante un Consiglio nazionale dell’Associazione Sommeliers. Durante un viaggio da Palermo a Catania, con un piccolo gruppo di amici, proposi scherzosamente l’idea di creare una società di export del vino per il mercato americano, cogliendo l’opportunità di avere come interlocutore Louis Jacucci, proprietario di una rinomata enoteca a New York. Louis era un grande appassionato di vini italiani, tanto da essere iscritto alla nostra AIS e partecipare ai numerosi eventi annuali organizzati dall’associazione. La figura chiave nell’avvio della società fu però l’imprenditore trentino Fabrizio Pedrolli, che gettò le basi di quella che sarebbe diventata la VIAS IMPORT. Al progetto si unirono anche Mirta Sontacchi, albergatrice trentina, Franco Colombani dell’Albergo del Sole di Maleo (MI), Luigi Togn, proprietario trentino del Maso Poli, e come già detto, Louis Jacucci, oltre a me stesso.
Nel mio impegno oltreoceano, ero sempre accompagnato da Fabrizio Pedrolli. Non parlavo inglese, e tuttora non lo parlo molto bene, ma Fabrizio, elegante e proveniente da una famiglia della “buona” borghesia trentina, si comportava da fratello maggiore, anche se eravamo coetanei. Grazie alla nostra solida amicizia, avviammo i primi contratti di esportazione con cantine che frequentavamo abitualmente, creando una sorta di “sorella” italiana di VIAS IMPORT. In America, venivano applicati i metodi didattici che insegnavamo in Italia durante i corsi di degustazione e formazione sul vino. In quel periodo, la mia esperienza di oltre 20 anni nel mondo del vino si intrecciò perfettamente con l’immersione totale nel mercato statunitense. Le esperienze acquisite nella ristorazione, nella produzione e nella didattica si fusero, contribuendo al lento ma costante successo della nostra avventura americana.
Fabrizio Pedrolli, l’anima vera di VIAS, si divideva tra Italia e Stati Uniti, mentre il mio impegno annuale consistava in una settimana negli States, con un punto di riferimento fondamentale a New York, presso gli uffici situati alla 31° strada e 6° Avenue. Ricordo con piacere le numerose riunioni con i nostri dirigenti e i vari team del settore import, così come gli incontri con i venditori, dove si discuteva delle nuove cantine che si erano aggiunte al nostro portafoglio, organizzando degustazioni e aggiornamenti sui vini, sui produttori e sulle nuove annate. Un aspetto fondamentale di questi incontri riguardava le tecniche di vendita, in particolare quelle destinate ai ristoranti italiani, ma non solo, in un mercato sempre più ampio che includeva cucine provenienti da ogni angolo del mondo. I numerosi wine-tasting organizzati in diverse città americane, presso distributori e ristoranti, ci permisero di presentare nuovi produttori, annate e vini. Tra le location più prestigiose dove si svolgevano questi eventi c’erano l’Hotel Delano di Miami, il Marriott di New York a Times Square, il Fairmont di Seattle, il ristorante Obelisk di Washington, il Beverly Hills di Los Angeles, un wine-tasting presso il Presidio vicino al Golden Gate di San Francisco, il Canaletto nel Venetian Resort di Las Vegas, e molti altri.
Tra i ristoratori e clienti più importanti che visitammo ci furono il Venetian di Las Vegas, la steakhouse Santo&Johnnie’s di Hoboken, il raffinato Post-House di New York, il Cinqueterre di Portland, il Felidia di New York, il Sandomencico di New York, il prestigioso Valentino di Santa Monica e il Remi di New York, dove insieme a Luigi Veronelli presentammo il suo commento al catalogo dei vini VIAS. Durante una settimana a Los Angeles, oltre a visitare i nostri clienti, feci un’escursione in Messico, dove fui invitato a visitare la cantina “Cetto Wine” nella Valle del Guadalupe, vicino alla frontiera californiana, in una vasta area di vigneti con una produzione di 2 milioni di bottiglie. La cantina era gestita da proprietari italiani originari di Morbegno, in provincia di Sondrio. Ogni evento era una preziosa occasione per incontrare ristoratori, sommeliers, giornalisti e appassionati di vino, con il livello di conoscenza delle tecniche di assaggio sempre molto alto, a dimostrazione dell’interesse e della curiosità per il vino italiano. In quel contesto, la stampa specializzata e influente contribuiva a creare un’eco significativa, assegnando punteggi da 50 a 100, che determinavano la percezione del valore dei vini sul mercato. Tra le recensioni più significative vi erano quelle dei vini liguri, come il Vermentino e il Pigato della Colle dei Bardellini, che ricevettero una particolare attenzione nel marketing.
Nel novembre del 2015, il wine writer Bruce Sanderson ha recensito il Vermentino U’ Munte 2014, assegnandogli un punteggio di 88 punti e una valutazione molto positiva che ha avuto un grande impatto sul mercato statunitense. La sua recensione recita: “Peach and apricot flavors are offset by bracing acidity in this racy white. Stone and white pepper accents pop up in the aftertaste. Drink now.”Tradotto, il giudizio evidenzia come i sapori di pesca e albicocca siano bilanciati da una acidità vivace che dona al vino un carattere “affilato” e fresco. Nel finale, emergono note di pietra e un accenno di pepe bianco, rendendo il vino complesso e interessante. Sanderson consiglia di consumarlo subito.Questo alto punteggio è stato un elemento decisivo per il posizionamento del Vermentino U’ Munte 2014 nel mercato USA, dove la stampa specializzata ha un’influenza notevole sulla percezione e sulla domanda di determinati vini.
Un’altra recensione di grande rilievo è quella di Stephen Tanzer, uno dei principali “wine opinion leaders” e fondatore di International Wine Cellar – The Consumer’s Passport to Fine Wine, che nel recensire il Colle dei Bardellini Pigato La Torretta 1995 scrive: “Spezie, limoni, fumé, sensazioni minerali, e erbe fresche all’olfatto. Al gusto un forte estratto alcalino (il corpo) condiziona positivamente una buona base d’acidità. Al fine bocca una lunga persistenza lievemente acidula, buona struttura.” Questa descrizione evidenzia la complessità e la ricchezza aromatica del vino, che si apre con note speziate, di limone, di fumé, e sensazioni minerali, accompagnate da un tocco di erbe fresche. Al palato, il vino presenta un corpo ben strutturato, caratterizzato da un estratto alcalino che si armonizza con una buona acidità, conferendo al vino equilibrio e eleganza. Il finale si distingue per una lunga persistenza, con una leggera acidità che ne accentua la freschezza e la struttura. Questa recensione, con il suo focus su complessità, equilibrio e longevità, è un’ulteriore prova della qualità e del potenziale del Pigato La Torretta 1995, un vino che ha lasciato il segno nel panorama internazionale, grazie anche alla sua ottima struttura e alle caratteristiche che si esprimono sia all’olfatto che al gusto.
L’artefice principale di questo lavoro certosino è stato il mio terzo grande amico di una vita: Fabrizio Pedrolli. Conduttore delle aziende Vias Italia e Vias America, con una lucidità di progetto e una continua presenza negli States, ha garantito il successo consolidato che oggi possiamo celebrare. Io, invece, ho contribuito in modo “part-time”, offrendo il mio apporto ed esperienza. Ora, arrivati entrambi all’alba delle 84 primavere, ci prepariamo a passare il testimone, avendo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati nel lontano 1983.
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